lunedì 2 dicembre 2013

Dieci cose Da Dire Se Vuoi Rovinare il rapporto tra tuo figlio e il suo insegnante.

L'insegnante o il/la maestro/a è la figura autorevole che aiuta i nostri figli quando sono a scuola, che li sostiene e li aiuta nel loro percorso formativo che trascende il mero passaggio di nozioni.
Il rapporto che si instaura con l'insegnante di tuo figlio influirà moltissimo nella sua educazione, ecco perché è fondamentale stabilire un rapporto di fiducia. La relazione che si crea dovrebbe assomigliare ad un "passaggio" nell'affidamento del figlio, che in questo modo imparerebbe a vedere l'insegnante come il suo punto di riferimento nell'ambiente scolastico. Se da parte dei genitori c'è stima, anche tuo figlio riconoscerà il suo ruolo autorevole.

Ma non sempre comunicare con l'insegnante è facile, perché alcune volte si rischia di usare parole non utili, dando adito a fraintendimenti e malumori. La base per dar vita a un dialogo costruttivo è porsi su un piano di rispetto all'insegnante e al suo ruolo. A volte molti genitori si pongono in modo superiore convinti di conoscere meglio di ogni altro il proprio figlio.
Questo è vero, ma andrebbe ricordato loro che ogni genitore conosce il proprio bambino appunto nel ruolo di figlio, non di alunno. Il rapporto quindi può essere diverso. È importante porsi in modo cooperativo affidandosi all'insegnante nel processo educativo, mantenendo ruoli diversi. Inoltre, è fondamentale che il genitore rispetti le sue dinamiche d'insegnamento senza criticarlo davanti al figlio.
Se c'è qualcosa che non condivide, dovrebbe parlarne direttamente con l'insegnante, (del resto è lo stesso metodo che dovrebbero mantenere i coniugi quando educano i propri figli: mai squalificarsi a vicenda davanti a loro). Attenzione quindi a non confondere i due ruoli: se quello di madre, ad esempio, è impostato su una determinata modalità educativa, quello dell'insegnante non dovrà necessariamente ricalcare lo stesso approccio. Anzi, per il bambino è utile e formativo confrontarsi con stili diversi tra loro .
 
COLLABORARE IN ARMONIA: per aiutare la conoscenza del bambino, può essere d'aiuto parlare con l'insegnante della personalità del bambino e delle sue eventuali difficoltà emerse a casa, come ad esempio il suo timore per la scuola o per l'insegnante. Raccontare all' insegnante quali sono i modi di reagire di tuo figlio nei momenti in cui si sente in difficoltà, può aiutare a "leggere" i suoi segnali non verbali, senza fraintendere.
È un modo di indirizzare a capire il problema e a non sottovalutarlo, a sostenere il bimbo nell'inserimento in classe in maniera più serena. Attenzione però a non intervenire in maniera continua: una volta passato all'insegnante il compito di comprendere eventuali problemi o le caratteristiche caratteriali e comportamentali di vostro figlio, bisogna lasciare spazio alla relazione tra di loro.
 
Invece SE VUOI OTTENERE  un EFFETTO CATASTROFICO con l'INSEGNANTE
ecco LE FRASI da DIRE: 
 
1. "Sono in ansia quando lo lascio a scuola": questo fa intendere che non hai fiducia, che non gli/le stai affidando il bambino fino in fondo. L'insegnante potrebbe interpretare una frase come questa in modo svilente. Se il genitore si mostra eccessivamente ansioso, il bambino potrebbe assorbire questo stato d'animo, sentirsi fuori luogo a scuola ed avere difficoltà a fidarsi a sua volta del maestro/a.
E ciò potrebbe rendere il lavoro all'insegnante molto difficoltoso.
 
2. "Mio figlio non viene volentieri": è un'affermazione che sottintende una responsabilità dell'insegnante, perché sembra voler dire "è colpa tua". Questa frase potrebbe essere sostituita da: "secondo lei mio figlio si trova bene, o ha qualche difficoltà?", per lasciare aperta la possibilità di confronto.
 
3. "Non mi piace il suo metodo": una dichiarazione di guerra.
Una frase del genere svaluta l'insegnate e il suo ruolo, pone il genitore su un piedistallo da cui l'insegnante viene guardata dall'alto in basso. Secondo voi come si sentirà l'insegnante? I due ruoli, invece, sono differenti e separati. Non è quindi il caso di dare direttive su come deve lavorare. Se qualcosa non va, bisognerebbe piuttosto cercare di comprendere il motivo ma soprattutto come persiste il problema. E' più utile, tra genitore ed insegnante incontrarsi su un terreno di confronto e non di scontro.
 
4. "Penso ci sia disparità di trattamento tra mio figlio e gli altri alunni": è una frase con una sfumatura paranoica, che fa sentire l'insegnante controllato, giudicato nel suo mestiere e quindi infastidito. Esprime un atteggiamento intrusivo, un non-rispetto dei confini tra o ruoli. Vostro figlio condizionato dal giudizio del genitore potrebbe rischiare di isolarsi.

5. "I compiti per casa assegnati sono troppi": è un giudizio critico, che detto così chiude il discorso senza lasciare possibilità di controbattere, e che costringe l'insegnante a mettersi sulla difensiva. Meglio dire: "mio figlio ha difficoltà a finire tutti i compiti", cercando di capire insieme come superare il problema.
 
6. "Quel voto non mi sembra giusto!": questa affermazione implica un desiderio implicito di sostituirsi all'insegnante nella valutazione scolastica del figlio. Lo stesso concetto si può esprimere in una domanda che esprima cooperazione, che faccia sottintendere che il bambino ha volontà di migliorare e che il genitore è pronto da sostenerlo. Si potrebbe dire: "c'è un modo in cui posso aiutare/seguire mio figlio per recuperare?".
In questo modo si rende evidente all'insegnante la volontà di cooperare.
 
7. "Non ha finito il tema perché il pomeriggio ha lezioni di danza/calcio ecc.": frasi simili danno a intendere che si dà più importanza all'attività alternative che alla scuola. Potrebbe indispettire l'insegnante, oltre a dare un'idea sbagliata sull'importanza dei vari impegni del figlio. Certo, qualche volta può accadere, ma non va usata sempre come scusa né abitudine.
 
8. "Il bimbo si annoia in classe": una frase simile sminuisce il lavoro dell'insegnante, perché lo si accusa di non essere capace di insegnare nel modo corretto o interessante. La noia è vista come una responsabilità dell'altro. È importante, invece, mantenere aperto il discorso, riportandolo sul bambino, ricercando il ruolo attivo dell'insegnante. Si potrebbe per esempio dire: "mio figlio dice che ha problemi a mantenere l'attenzione, potrebbe aiutarlo a trovare il modo di concentrarsi?".

9. "Dovrebbe cambiare posto a mio figlio perché non va d'accordo con il compagno di banco": non intromettersi mai nelle dinamiche della classe, a meno che non si sospettino cose gravi. Un'antipatia va gestita autonomamente dal bambino, ed è compito dell'insegnante valutare l'equilibrio del gruppo. Si potrebbe in questo caso consigliare al bambino stesso di parlarne con l'insegnante. Oppure si potrebbe informare che questo disagio esiste, senza suggerire come risolvere la situazione. Cercando di portare alla luce il problema, ma si lascia all'insegnante il compito di trovare il modo migliore per risolverlo.
 
10. "Il prossimo anno cambieremo scuola": questo è un annuncio di guerra, da evitare perché va a incrinare il rapporto con l'insegnante, creando un'atmosfera tesa e controproducente per il bambino. Anche se si sta valutando questa opzione, non è il caso di esprimerla apertamente. Meglio cercare un confronto con l'insegnante, per capire se il rapporto si possa migliorare prima di prendere decisioni drastiche.

venerdì 29 novembre 2013

Genitori strategici: l’approccio strategico e l’arte dello stratagemma nella gestione dei figli

Trascrizione dell’intervista radiofonica al dott. Bernardo Paoli co-autore del libro di Giorgio Nardone “Aiutare i genitori per aiutare i figli”
I problemi umani – dai disturbi più invalidanti alle difficoltà che quotidianamente dobbiamo affrontare – sono caratterizzati da un equilibrio, ovvero vengono mantenuti in piedi dalle azioni e reazioni messe in atto dalle persone coinvolte in essi.
Come un tavolo si regge su più gambe, così i problemi umani si reggono sulle azioni e reazioni che le persone coinvolte mettono in atto. Per quanto questo equilibrio possa essere doloroso o fastidioso, ogni persona coinvolta in un problema dà il suo  personale contributo al mantenimento del problema stesso. 
Provate ad immaginare un tavolo triangolare che poggia su tre gambe, una per angolo. Una di queste gambe ce la mettiamo noi; se la togliamo, il problema cade.
Scopo della Terapia Breve Strategica è quindi sostenere il paziente a rompere l’equilibrio  che sostiene il problema, togliendo gli elementi che vanno ad alimentare il disturbo che lo fa soffrire.

“Il termine “strategico” fa riferimento a due tradizioni: da una parte la logica strategica matematica, dall’altra parte l’antica arte dello stratagemma.
Quando si parla di logica strategica in matematica si fa riferimento a procedimenti che si adattano all’obiettivo che si vuole raggiungere.  
La terapia strategica nasce dagli studi fatti in ambito logico, gli autori che hanno dato vita a questo approccio hanno scoperto che ogni problema umano regge su una logica e una volta individuata la logica su cui si mantiene un problema è molto rapido riuscire ad identificare la logica su cui costruire la soluzione che si adatterà sempre al tipo di problema.
E’ utile sottolinearlo: la soluzione si adatta al problema e non alle teorie di riferimento; nelle terapie tradizionali il terapeuta prima deve insegnare al paziente una nuova prospettiva – la sua – da cui guardare al problema.
Quindi prima insegna al paziente molte cose sui conflitti interiori, sui meccanismi di difesa, o su come si analizzano i pensieri irrazionali e automatici, e da questa presa di consapevolezza introduce poi un cambiamento.
Questa modalità è comunque efficace ma non è efficiente, ovvero funziona abbastanza bene ma funziona molto lentamente.
L’idea tradizionale è: prima ti spiego, poi ti faccio cambiare; quindi la consapevolezza, la razionalità, le spiegazioni e l’apprendimento precedono le emozioni e il cambiamento.
Nell’ottica strategica prima si cambia e poi si spiega; prima si introduce un cambiamento, da cui scaturirà un’esperienza emozionale correttiva e, solo alla fine, si danno delle spiegazioni su quello che è successo, anche perché sono le soluzioni efficaci che spiegano qual era la struttura del problema.
Quindi abbiamo parlato di tre grandi differenze:
la prima è che la terapia breve strategica nasce dagli studi sulla logica dei problemi e delle soluzioni;
la seconda è che non parte da una teoria di riferimento ma adatta il proprio intervento alle specificità del problema presentato dal paziente o dal cliente;
la terza è che prima si introduce un cambiamento di successo da cui scaturirà un’esperienza emozionale correttiva e, solo dopo ciò, si può accedere ad una spiegazione su com’è che funzionava il problema.
Quindi prima si cambia e poi si spiega; la consapevolezza arriva per ultima non per prima. Per introdurre un cambiamento così rapido – la maggior parte dei pazienti entro la terza seduta ha sbloccato il problema che ha portato in terapia – si utilizzano dei veri e propri stratagemmi.
Qui l’arte dello stratagemma, che arriva dall’antica Cina, è uno strumento essenziale; nelle situazioni di impasse saper abbandonare le logiche ordinarie e lasciarsi guidare dalle logiche non ordinarie dello stratagemma conduce rapidamente al superamento dei problemi”.
                                          
“Non è necessario portare i bambini dallo psicologo o dallo psicoterapeuta, anche perché non c’è miglior terapeuta per un figlio che il proprio genitore.
Ecco perché si parla di terapia indiretta: il terapeuta opera indirettamente sul bambino tramite i genitori che vengono eletti a “co-terapeuti” nell’intervento.
E’ importante che questo accada per due motivi.
Il primo motivo è che se un professionista si inserisce all’interno di un contesto familiare modifica il sistema stesso e toglie il genitore dal proprio ruolo; pensiamoci bene: il figlio che entra in terapia e vede che il terapeuta spiega ai genitori com’è che devono affrontare i problemi con lui fa capire che a guidare la famiglia non sono i genitori ma il terapeuta appunto.
Il secondo motivo è che i genitori hanno tutte le risorse necessarie per guidare il cambiamento.
Deve entrare nella stanza del terapeuta solo chi ha le risorse per il cambiamento e in famiglia ad avere queste risorse non sono i bambini ma i genitori: quando loro cambiano i figli li seguono in maniera estremamente rapida. 
Nell’ottica strategica si esce completamente dalla ricerca del “colpevole”, dalla ricerca di chi ha determinato o meno un certo problema, dalla ricerca delle cause passate
“E’ colpa della madre se il bambino è insicuro”, “E’ colpa del padre se la figlia piange appena qualcuno alza la voce”, “E’ colpa del bambino che disubbidisce sempre quando gli viene chiesto qualcosa”.
Questi discorsi non portano da nessuna parte.
Si esce dalla ricerca del colpevole e si inizia invece a domandarsi: “Come funziona ciò che non funziona?”, “Quando tuo figlio agisce in quel modo che trovi tanto fastidioso, tu come reagisci?”. La mamma come reagisce? Il papà come reagisce? Le loro reazioni hanno come esito che il bambino migliora nei suoi comportamenti o continua a fare quello che ha sempre fatto?
Il focus non è chi ha colpa ma chi è il primo che desidera cambiare.
Se tutte le volte che chiedi a tuo figlio di iniziare a fare i compiti lui piange, si lamenta, e inizia a perdere tempo, tu come reagisci?
Gli spieghi che deve fare i compiti? Urli? Ingaggi un braccio di ferro? Gli dici che dovrebbe provare piacere nel fare i compiti?
Se quello che stai dicendo o facendo non ha come esito il cambiamento del comportamento di tuo figlio, quella è la prima cosa che puoi cambiare”.

giovedì 7 novembre 2013

Evento: "CONOSCERE e RISOLVERE i PROBLEMI tra GENITORI e FIGLI"


CONOSCERE e RISOLVERE i PROBLEMI

tra GENITORI e FIGLI

Modelli di Famiglia e Problem Solving Strategico

per 

ASSOCIAZIONE INSIEME PER CRESCERE di STRONA (BI).




Roger Ubaldo BONINO

Educatore e Formatore  


conduce 2  incontri aperti al pubblico

 12 e 26 novembre 2013

dalle 20.30 alle 22.30


presso la Sede degli Alpini - Municipio di Strona


 

 

 





domenica 3 novembre 2013

Cos'è una Consulenza Breve Strategica ?






 

LA CONSULENZA BREVE STRATEGICA

E' un Intervento Professionale di Relazione d'Aiuto 

in inglese chiamato COUNSELING,

Si usa per affrontare in modo EFFICACE

una DIFFICOLTA' o raggiungere un OBIETTIVO

in diverse aree della Vita:

PERSONALI - FAMILIARI - SCOLASTICI - LAVORO

gli INCONTRI NON SUPERANO le 10 SESSIONI

E COME FUNZIONA?

1) si DEFINISCE il PROBLEMA e/o OBIETTIVO,

2) si RICONOSCONO le TENTATE SOLUZIONI DISFUNZIONALI

 3) si AIUTA il CLIENTE ad AGIRE

AZIONI EFFICACI

che rendano il CAMBIAMENTO INEVITABILE.

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Si definisce BREVE perché si può arrivare velocemente ad una SOLUZIONE con RISPARMIO di

TEMPO - DISAGIO - DENARO




venerdì 1 novembre 2013

STRATEGIA: "Ad una FORZA LINEARE anteporre una FORZA CIRCOLARE e VICEVERSA."



(Liberamente tratto dal libro di Giorgio Nardone: Cavalcare la propria Tigre - 2003 Ponte alle Grazie)
Archimede ci insegna con l'affermazione < datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo >,
che occorre anteporre un movimento circolare ad una forza lineare per rendere possibile il sollevamento o lo  spostamento di pesi altrimenti considerato impossibile. L'invenzione della ruota o la carrucola ne sono l'esempio. Al contrario se voglio bloccare qualcosa che rotola mi basta inserire un cuneo tra essa e la superficie di rotolamento: una piccola forza lineare è in grado di bloccare una potente forza circolare. Mediante poco si ottiene tanto.
Questo approccio mutuato dall'antichità (dalle arti marziali e dal taoismo) nella moderna epistemologia e la cibernetica viene chiamato < Casualità Circolare >, ovvero la concezione per cui Causa ed Effetto costituiscono un sistema circolare di reciprocità piuttosto che un mero processo sequenziale e lineare. Così si ottiene un Modello Scientifico più completo e corretto, perché prende in considerazione la Complessità dei rapporti tra i diversi componenti di un dato sistema.
Ma questo cosa vuol dire praticamente? Per esempio nell'arte della persuasione come insegna Blaise Pascal (Pensiero n.40) : < Quando si vuol dimostrare una cosa generale, occorre dare la regola particolare di un caso; ma se si vuol dimostrare un caso particolare, occorre cominciare dalla regola generale>, ovvero se voglio spiegare una cosa complicata dovrò utilizzare degli esempi particolari e semplici. Anche l'antico filosofo Gorgia insegnava che < Si deve disarmare la serietà dell'avversario con il riso, ed il riso con la serietà >.
Allo stesso modo dovrò utilizzare con una persona che usa un linguaggio semplice delle argomentazioni elaborate e contorte, alle quali lui cercherà di dare un senso semplice, trovando lui stesso le fondamenta di verità, finendo così per convincersene. Invece con un interlocutore che utilizza un linguaggio forbito e complicato dovrò penetrare la sua esposizione con fulminanti esempi concreti, facendo crollare la sua complessa argomentazione, obbligandolo ad aggrapparsi a ciò che gli proporrete come un assetato che si tuffa nell'acqua dell'oasi.
Quindi una persona che si pone in modo rigido sarà messo in crisi da chi si rivolgerà a lui in modo determinato ma dolce.
L'arte sta nel sapersi sintonizzare sul canale complementare a quello del nostro interlocutore.
Usato con perizia questo stratagemma guida alla soluzione di problemi interpersonali apparentemente insolubili.

domenica 27 ottobre 2013

STAI TRANQUILLO e CHIAMA il TUO COUNSELOR

 

Il Counseling è un'attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione.

Il Counseling offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e di crisi, rinforzando la capacità di scelta o di cambiamento del cliente.

Il Counseling Breve Strategico è un intervento che mira attraverso Tecniche Precise ad ottenere un Cambiamento Efficace in un numero Breve di incontri.

Si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi e istituzioni, può essere erogato in vari ambiti, quali privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale.