I problemi
umani – dai disturbi più invalidanti alle difficoltà che quotidianamente
dobbiamo affrontare – sono caratterizzati da un equilibrio, ovvero vengono
mantenuti in piedi dalle azioni e reazioni messe in atto dalle persone
coinvolte in essi.
Come un tavolo si regge su più gambe, così i problemi umani si reggono sulle azioni e reazioni che le persone coinvolte mettono in atto. Per quanto questo equilibrio possa essere doloroso o fastidioso, ogni persona coinvolta in un problema dà il suo personale contributo al mantenimento del problema stesso.
Provate ad immaginare un tavolo triangolare che poggia su tre gambe, una per angolo. Una di queste gambe ce la mettiamo noi; se la togliamo, il problema cade.
Scopo della Terapia Breve Strategica è quindi sostenere il paziente a rompere l’equilibrio che sostiene il problema, togliendo gli elementi che vanno ad alimentare il disturbo che lo fa soffrire.
Come un tavolo si regge su più gambe, così i problemi umani si reggono sulle azioni e reazioni che le persone coinvolte mettono in atto. Per quanto questo equilibrio possa essere doloroso o fastidioso, ogni persona coinvolta in un problema dà il suo personale contributo al mantenimento del problema stesso.
Provate ad immaginare un tavolo triangolare che poggia su tre gambe, una per angolo. Una di queste gambe ce la mettiamo noi; se la togliamo, il problema cade.
Scopo della Terapia Breve Strategica è quindi sostenere il paziente a rompere l’equilibrio che sostiene il problema, togliendo gli elementi che vanno ad alimentare il disturbo che lo fa soffrire.
“Il termine “strategico” fa riferimento a due tradizioni: da una parte la logica strategica matematica, dall’altra parte l’antica arte dello stratagemma.
Quando si parla di logica strategica in matematica si fa riferimento a procedimenti che si adattano all’obiettivo che si vuole raggiungere.
La terapia strategica nasce dagli studi fatti in ambito logico, gli autori che hanno dato vita a questo approccio hanno scoperto che ogni problema umano regge su una logica e una volta individuata la logica su cui si mantiene un problema è molto rapido riuscire ad identificare la logica su cui costruire la soluzione che si adatterà sempre al tipo di problema.
E’ utile sottolinearlo: la soluzione si adatta al problema e non alle teorie di riferimento; nelle terapie tradizionali il terapeuta prima deve insegnare al paziente una nuova prospettiva – la sua – da cui guardare al problema.
Quindi prima insegna al paziente molte cose sui conflitti interiori, sui meccanismi di difesa, o su come si analizzano i pensieri irrazionali e automatici, e da questa presa di consapevolezza introduce poi un cambiamento.
Questa modalità è comunque efficace ma non è efficiente, ovvero funziona abbastanza bene ma funziona molto lentamente.
L’idea tradizionale è: prima ti spiego, poi ti faccio cambiare; quindi la consapevolezza, la razionalità, le spiegazioni e l’apprendimento precedono le emozioni e il cambiamento.
Nell’ottica strategica prima si cambia e poi si spiega; prima si introduce un cambiamento, da cui scaturirà un’esperienza emozionale correttiva e, solo alla fine, si danno delle spiegazioni su quello che è successo, anche perché sono le soluzioni efficaci che spiegano qual era la struttura del problema.
Quindi abbiamo parlato di tre grandi differenze:
la prima è che la terapia breve strategica nasce dagli studi sulla logica dei problemi e delle soluzioni;
la seconda è che non parte da una teoria di riferimento ma adatta il proprio intervento alle specificità del problema presentato dal paziente o dal cliente;
la terza è che prima si introduce un cambiamento di successo da cui scaturirà un’esperienza emozionale correttiva e, solo dopo ciò, si può accedere ad una spiegazione su com’è che funzionava il problema.
Quindi prima si cambia e poi si spiega; la consapevolezza arriva per ultima non per prima. Per introdurre un cambiamento così rapido – la maggior parte dei pazienti entro la terza seduta ha sbloccato il problema che ha portato in terapia – si utilizzano dei veri e propri stratagemmi.
Qui l’arte dello stratagemma, che arriva dall’antica Cina, è uno strumento essenziale; nelle situazioni di impasse saper abbandonare le logiche ordinarie e lasciarsi guidare dalle logiche non ordinarie dello stratagemma conduce rapidamente al superamento dei problemi”.

“Non è
necessario portare i bambini dallo psicologo o dallo psicoterapeuta, anche
perché non c’è miglior terapeuta per un figlio che il proprio genitore.
Ecco perché si parla di terapia indiretta: il terapeuta opera indirettamente sul bambino tramite i genitori che vengono eletti a “co-terapeuti” nell’intervento.
E’ importante che questo accada per due motivi.
Il primo motivo è che se un professionista si inserisce all’interno di un contesto familiare modifica il sistema stesso e toglie il genitore dal proprio ruolo; pensiamoci bene: il figlio che entra in terapia e vede che il terapeuta spiega ai genitori com’è che devono affrontare i problemi con lui fa capire che a guidare la famiglia non sono i genitori ma il terapeuta appunto.
Il secondo motivo è che i genitori hanno tutte le risorse necessarie per guidare il cambiamento.
Deve entrare nella stanza del terapeuta solo chi ha le risorse per il cambiamento e in famiglia ad avere queste risorse non sono i bambini ma i genitori: quando loro cambiano i figli li seguono in maniera estremamente rapida.
Nell’ottica strategica si esce completamente dalla ricerca del “colpevole”, dalla ricerca di chi ha determinato o meno un certo problema, dalla ricerca delle cause passate.
“E’ colpa della madre se il bambino è insicuro”, “E’ colpa del padre se la figlia piange appena qualcuno alza la voce”, “E’ colpa del bambino che disubbidisce sempre quando gli viene chiesto qualcosa”.
Questi discorsi non portano da nessuna parte.
Si esce dalla ricerca del colpevole e si inizia invece a domandarsi: “Come funziona ciò che non funziona?”, “Quando tuo figlio agisce in quel modo che trovi tanto fastidioso, tu come reagisci?”. La mamma come reagisce? Il papà come reagisce? Le loro reazioni hanno come esito che il bambino migliora nei suoi comportamenti o continua a fare quello che ha sempre fatto?
Il focus non è chi ha colpa ma chi è il primo che desidera cambiare.
Se tutte le volte che chiedi a tuo figlio di iniziare a fare i compiti lui piange, si lamenta, e inizia a perdere tempo, tu come reagisci?
Gli spieghi che deve fare i compiti? Urli? Ingaggi un braccio di ferro? Gli dici che dovrebbe provare piacere nel fare i compiti?
Se quello che stai dicendo o facendo non ha come esito il cambiamento del comportamento di tuo figlio, quella è la prima cosa che puoi cambiare”.
Ecco perché si parla di terapia indiretta: il terapeuta opera indirettamente sul bambino tramite i genitori che vengono eletti a “co-terapeuti” nell’intervento.
E’ importante che questo accada per due motivi.
Il primo motivo è che se un professionista si inserisce all’interno di un contesto familiare modifica il sistema stesso e toglie il genitore dal proprio ruolo; pensiamoci bene: il figlio che entra in terapia e vede che il terapeuta spiega ai genitori com’è che devono affrontare i problemi con lui fa capire che a guidare la famiglia non sono i genitori ma il terapeuta appunto.
Il secondo motivo è che i genitori hanno tutte le risorse necessarie per guidare il cambiamento.
Deve entrare nella stanza del terapeuta solo chi ha le risorse per il cambiamento e in famiglia ad avere queste risorse non sono i bambini ma i genitori: quando loro cambiano i figli li seguono in maniera estremamente rapida.
Nell’ottica strategica si esce completamente dalla ricerca del “colpevole”, dalla ricerca di chi ha determinato o meno un certo problema, dalla ricerca delle cause passate.
“E’ colpa della madre se il bambino è insicuro”, “E’ colpa del padre se la figlia piange appena qualcuno alza la voce”, “E’ colpa del bambino che disubbidisce sempre quando gli viene chiesto qualcosa”.
Questi discorsi non portano da nessuna parte.
Si esce dalla ricerca del colpevole e si inizia invece a domandarsi: “Come funziona ciò che non funziona?”, “Quando tuo figlio agisce in quel modo che trovi tanto fastidioso, tu come reagisci?”. La mamma come reagisce? Il papà come reagisce? Le loro reazioni hanno come esito che il bambino migliora nei suoi comportamenti o continua a fare quello che ha sempre fatto?
Il focus non è chi ha colpa ma chi è il primo che desidera cambiare.
Se tutte le volte che chiedi a tuo figlio di iniziare a fare i compiti lui piange, si lamenta, e inizia a perdere tempo, tu come reagisci?
Gli spieghi che deve fare i compiti? Urli? Ingaggi un braccio di ferro? Gli dici che dovrebbe provare piacere nel fare i compiti?
Se quello che stai dicendo o facendo non ha come esito il cambiamento del comportamento di tuo figlio, quella è la prima cosa che puoi cambiare”.
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