lunedì 2 dicembre 2013

Dieci cose Da Dire Se Vuoi Rovinare il rapporto tra tuo figlio e il suo insegnante.

L'insegnante o il/la maestro/a è la figura autorevole che aiuta i nostri figli quando sono a scuola, che li sostiene e li aiuta nel loro percorso formativo che trascende il mero passaggio di nozioni.
Il rapporto che si instaura con l'insegnante di tuo figlio influirà moltissimo nella sua educazione, ecco perché è fondamentale stabilire un rapporto di fiducia. La relazione che si crea dovrebbe assomigliare ad un "passaggio" nell'affidamento del figlio, che in questo modo imparerebbe a vedere l'insegnante come il suo punto di riferimento nell'ambiente scolastico. Se da parte dei genitori c'è stima, anche tuo figlio riconoscerà il suo ruolo autorevole.

Ma non sempre comunicare con l'insegnante è facile, perché alcune volte si rischia di usare parole non utili, dando adito a fraintendimenti e malumori. La base per dar vita a un dialogo costruttivo è porsi su un piano di rispetto all'insegnante e al suo ruolo. A volte molti genitori si pongono in modo superiore convinti di conoscere meglio di ogni altro il proprio figlio.
Questo è vero, ma andrebbe ricordato loro che ogni genitore conosce il proprio bambino appunto nel ruolo di figlio, non di alunno. Il rapporto quindi può essere diverso. È importante porsi in modo cooperativo affidandosi all'insegnante nel processo educativo, mantenendo ruoli diversi. Inoltre, è fondamentale che il genitore rispetti le sue dinamiche d'insegnamento senza criticarlo davanti al figlio.
Se c'è qualcosa che non condivide, dovrebbe parlarne direttamente con l'insegnante, (del resto è lo stesso metodo che dovrebbero mantenere i coniugi quando educano i propri figli: mai squalificarsi a vicenda davanti a loro). Attenzione quindi a non confondere i due ruoli: se quello di madre, ad esempio, è impostato su una determinata modalità educativa, quello dell'insegnante non dovrà necessariamente ricalcare lo stesso approccio. Anzi, per il bambino è utile e formativo confrontarsi con stili diversi tra loro .
 
COLLABORARE IN ARMONIA: per aiutare la conoscenza del bambino, può essere d'aiuto parlare con l'insegnante della personalità del bambino e delle sue eventuali difficoltà emerse a casa, come ad esempio il suo timore per la scuola o per l'insegnante. Raccontare all' insegnante quali sono i modi di reagire di tuo figlio nei momenti in cui si sente in difficoltà, può aiutare a "leggere" i suoi segnali non verbali, senza fraintendere.
È un modo di indirizzare a capire il problema e a non sottovalutarlo, a sostenere il bimbo nell'inserimento in classe in maniera più serena. Attenzione però a non intervenire in maniera continua: una volta passato all'insegnante il compito di comprendere eventuali problemi o le caratteristiche caratteriali e comportamentali di vostro figlio, bisogna lasciare spazio alla relazione tra di loro.
 
Invece SE VUOI OTTENERE  un EFFETTO CATASTROFICO con l'INSEGNANTE
ecco LE FRASI da DIRE: 
 
1. "Sono in ansia quando lo lascio a scuola": questo fa intendere che non hai fiducia, che non gli/le stai affidando il bambino fino in fondo. L'insegnante potrebbe interpretare una frase come questa in modo svilente. Se il genitore si mostra eccessivamente ansioso, il bambino potrebbe assorbire questo stato d'animo, sentirsi fuori luogo a scuola ed avere difficoltà a fidarsi a sua volta del maestro/a.
E ciò potrebbe rendere il lavoro all'insegnante molto difficoltoso.
 
2. "Mio figlio non viene volentieri": è un'affermazione che sottintende una responsabilità dell'insegnante, perché sembra voler dire "è colpa tua". Questa frase potrebbe essere sostituita da: "secondo lei mio figlio si trova bene, o ha qualche difficoltà?", per lasciare aperta la possibilità di confronto.
 
3. "Non mi piace il suo metodo": una dichiarazione di guerra.
Una frase del genere svaluta l'insegnate e il suo ruolo, pone il genitore su un piedistallo da cui l'insegnante viene guardata dall'alto in basso. Secondo voi come si sentirà l'insegnante? I due ruoli, invece, sono differenti e separati. Non è quindi il caso di dare direttive su come deve lavorare. Se qualcosa non va, bisognerebbe piuttosto cercare di comprendere il motivo ma soprattutto come persiste il problema. E' più utile, tra genitore ed insegnante incontrarsi su un terreno di confronto e non di scontro.
 
4. "Penso ci sia disparità di trattamento tra mio figlio e gli altri alunni": è una frase con una sfumatura paranoica, che fa sentire l'insegnante controllato, giudicato nel suo mestiere e quindi infastidito. Esprime un atteggiamento intrusivo, un non-rispetto dei confini tra o ruoli. Vostro figlio condizionato dal giudizio del genitore potrebbe rischiare di isolarsi.

5. "I compiti per casa assegnati sono troppi": è un giudizio critico, che detto così chiude il discorso senza lasciare possibilità di controbattere, e che costringe l'insegnante a mettersi sulla difensiva. Meglio dire: "mio figlio ha difficoltà a finire tutti i compiti", cercando di capire insieme come superare il problema.
 
6. "Quel voto non mi sembra giusto!": questa affermazione implica un desiderio implicito di sostituirsi all'insegnante nella valutazione scolastica del figlio. Lo stesso concetto si può esprimere in una domanda che esprima cooperazione, che faccia sottintendere che il bambino ha volontà di migliorare e che il genitore è pronto da sostenerlo. Si potrebbe dire: "c'è un modo in cui posso aiutare/seguire mio figlio per recuperare?".
In questo modo si rende evidente all'insegnante la volontà di cooperare.
 
7. "Non ha finito il tema perché il pomeriggio ha lezioni di danza/calcio ecc.": frasi simili danno a intendere che si dà più importanza all'attività alternative che alla scuola. Potrebbe indispettire l'insegnante, oltre a dare un'idea sbagliata sull'importanza dei vari impegni del figlio. Certo, qualche volta può accadere, ma non va usata sempre come scusa né abitudine.
 
8. "Il bimbo si annoia in classe": una frase simile sminuisce il lavoro dell'insegnante, perché lo si accusa di non essere capace di insegnare nel modo corretto o interessante. La noia è vista come una responsabilità dell'altro. È importante, invece, mantenere aperto il discorso, riportandolo sul bambino, ricercando il ruolo attivo dell'insegnante. Si potrebbe per esempio dire: "mio figlio dice che ha problemi a mantenere l'attenzione, potrebbe aiutarlo a trovare il modo di concentrarsi?".

9. "Dovrebbe cambiare posto a mio figlio perché non va d'accordo con il compagno di banco": non intromettersi mai nelle dinamiche della classe, a meno che non si sospettino cose gravi. Un'antipatia va gestita autonomamente dal bambino, ed è compito dell'insegnante valutare l'equilibrio del gruppo. Si potrebbe in questo caso consigliare al bambino stesso di parlarne con l'insegnante. Oppure si potrebbe informare che questo disagio esiste, senza suggerire come risolvere la situazione. Cercando di portare alla luce il problema, ma si lascia all'insegnante il compito di trovare il modo migliore per risolverlo.
 
10. "Il prossimo anno cambieremo scuola": questo è un annuncio di guerra, da evitare perché va a incrinare il rapporto con l'insegnante, creando un'atmosfera tesa e controproducente per il bambino. Anche se si sta valutando questa opzione, non è il caso di esprimerla apertamente. Meglio cercare un confronto con l'insegnante, per capire se il rapporto si possa migliorare prima di prendere decisioni drastiche.

venerdì 29 novembre 2013

Genitori strategici: l’approccio strategico e l’arte dello stratagemma nella gestione dei figli

Trascrizione dell’intervista radiofonica al dott. Bernardo Paoli co-autore del libro di Giorgio Nardone “Aiutare i genitori per aiutare i figli”
I problemi umani – dai disturbi più invalidanti alle difficoltà che quotidianamente dobbiamo affrontare – sono caratterizzati da un equilibrio, ovvero vengono mantenuti in piedi dalle azioni e reazioni messe in atto dalle persone coinvolte in essi.
Come un tavolo si regge su più gambe, così i problemi umani si reggono sulle azioni e reazioni che le persone coinvolte mettono in atto. Per quanto questo equilibrio possa essere doloroso o fastidioso, ogni persona coinvolta in un problema dà il suo  personale contributo al mantenimento del problema stesso. 
Provate ad immaginare un tavolo triangolare che poggia su tre gambe, una per angolo. Una di queste gambe ce la mettiamo noi; se la togliamo, il problema cade.
Scopo della Terapia Breve Strategica è quindi sostenere il paziente a rompere l’equilibrio  che sostiene il problema, togliendo gli elementi che vanno ad alimentare il disturbo che lo fa soffrire.

“Il termine “strategico” fa riferimento a due tradizioni: da una parte la logica strategica matematica, dall’altra parte l’antica arte dello stratagemma.
Quando si parla di logica strategica in matematica si fa riferimento a procedimenti che si adattano all’obiettivo che si vuole raggiungere.  
La terapia strategica nasce dagli studi fatti in ambito logico, gli autori che hanno dato vita a questo approccio hanno scoperto che ogni problema umano regge su una logica e una volta individuata la logica su cui si mantiene un problema è molto rapido riuscire ad identificare la logica su cui costruire la soluzione che si adatterà sempre al tipo di problema.
E’ utile sottolinearlo: la soluzione si adatta al problema e non alle teorie di riferimento; nelle terapie tradizionali il terapeuta prima deve insegnare al paziente una nuova prospettiva – la sua – da cui guardare al problema.
Quindi prima insegna al paziente molte cose sui conflitti interiori, sui meccanismi di difesa, o su come si analizzano i pensieri irrazionali e automatici, e da questa presa di consapevolezza introduce poi un cambiamento.
Questa modalità è comunque efficace ma non è efficiente, ovvero funziona abbastanza bene ma funziona molto lentamente.
L’idea tradizionale è: prima ti spiego, poi ti faccio cambiare; quindi la consapevolezza, la razionalità, le spiegazioni e l’apprendimento precedono le emozioni e il cambiamento.
Nell’ottica strategica prima si cambia e poi si spiega; prima si introduce un cambiamento, da cui scaturirà un’esperienza emozionale correttiva e, solo alla fine, si danno delle spiegazioni su quello che è successo, anche perché sono le soluzioni efficaci che spiegano qual era la struttura del problema.
Quindi abbiamo parlato di tre grandi differenze:
la prima è che la terapia breve strategica nasce dagli studi sulla logica dei problemi e delle soluzioni;
la seconda è che non parte da una teoria di riferimento ma adatta il proprio intervento alle specificità del problema presentato dal paziente o dal cliente;
la terza è che prima si introduce un cambiamento di successo da cui scaturirà un’esperienza emozionale correttiva e, solo dopo ciò, si può accedere ad una spiegazione su com’è che funzionava il problema.
Quindi prima si cambia e poi si spiega; la consapevolezza arriva per ultima non per prima. Per introdurre un cambiamento così rapido – la maggior parte dei pazienti entro la terza seduta ha sbloccato il problema che ha portato in terapia – si utilizzano dei veri e propri stratagemmi.
Qui l’arte dello stratagemma, che arriva dall’antica Cina, è uno strumento essenziale; nelle situazioni di impasse saper abbandonare le logiche ordinarie e lasciarsi guidare dalle logiche non ordinarie dello stratagemma conduce rapidamente al superamento dei problemi”.
                                          
“Non è necessario portare i bambini dallo psicologo o dallo psicoterapeuta, anche perché non c’è miglior terapeuta per un figlio che il proprio genitore.
Ecco perché si parla di terapia indiretta: il terapeuta opera indirettamente sul bambino tramite i genitori che vengono eletti a “co-terapeuti” nell’intervento.
E’ importante che questo accada per due motivi.
Il primo motivo è che se un professionista si inserisce all’interno di un contesto familiare modifica il sistema stesso e toglie il genitore dal proprio ruolo; pensiamoci bene: il figlio che entra in terapia e vede che il terapeuta spiega ai genitori com’è che devono affrontare i problemi con lui fa capire che a guidare la famiglia non sono i genitori ma il terapeuta appunto.
Il secondo motivo è che i genitori hanno tutte le risorse necessarie per guidare il cambiamento.
Deve entrare nella stanza del terapeuta solo chi ha le risorse per il cambiamento e in famiglia ad avere queste risorse non sono i bambini ma i genitori: quando loro cambiano i figli li seguono in maniera estremamente rapida. 
Nell’ottica strategica si esce completamente dalla ricerca del “colpevole”, dalla ricerca di chi ha determinato o meno un certo problema, dalla ricerca delle cause passate
“E’ colpa della madre se il bambino è insicuro”, “E’ colpa del padre se la figlia piange appena qualcuno alza la voce”, “E’ colpa del bambino che disubbidisce sempre quando gli viene chiesto qualcosa”.
Questi discorsi non portano da nessuna parte.
Si esce dalla ricerca del colpevole e si inizia invece a domandarsi: “Come funziona ciò che non funziona?”, “Quando tuo figlio agisce in quel modo che trovi tanto fastidioso, tu come reagisci?”. La mamma come reagisce? Il papà come reagisce? Le loro reazioni hanno come esito che il bambino migliora nei suoi comportamenti o continua a fare quello che ha sempre fatto?
Il focus non è chi ha colpa ma chi è il primo che desidera cambiare.
Se tutte le volte che chiedi a tuo figlio di iniziare a fare i compiti lui piange, si lamenta, e inizia a perdere tempo, tu come reagisci?
Gli spieghi che deve fare i compiti? Urli? Ingaggi un braccio di ferro? Gli dici che dovrebbe provare piacere nel fare i compiti?
Se quello che stai dicendo o facendo non ha come esito il cambiamento del comportamento di tuo figlio, quella è la prima cosa che puoi cambiare”.

giovedì 7 novembre 2013

Evento: "CONOSCERE e RISOLVERE i PROBLEMI tra GENITORI e FIGLI"


CONOSCERE e RISOLVERE i PROBLEMI

tra GENITORI e FIGLI

Modelli di Famiglia e Problem Solving Strategico

per 

ASSOCIAZIONE INSIEME PER CRESCERE di STRONA (BI).




Roger Ubaldo BONINO

Educatore e Formatore  


conduce 2  incontri aperti al pubblico

 12 e 26 novembre 2013

dalle 20.30 alle 22.30


presso la Sede degli Alpini - Municipio di Strona


 

 

 





domenica 3 novembre 2013

Cos'è una Consulenza Breve Strategica ?






 

LA CONSULENZA BREVE STRATEGICA

E' un Intervento Professionale di Relazione d'Aiuto 

in inglese chiamato COUNSELING,

Si usa per affrontare in modo EFFICACE

una DIFFICOLTA' o raggiungere un OBIETTIVO

in diverse aree della Vita:

PERSONALI - FAMILIARI - SCOLASTICI - LAVORO

gli INCONTRI NON SUPERANO le 10 SESSIONI

E COME FUNZIONA?

1) si DEFINISCE il PROBLEMA e/o OBIETTIVO,

2) si RICONOSCONO le TENTATE SOLUZIONI DISFUNZIONALI

 3) si AIUTA il CLIENTE ad AGIRE

AZIONI EFFICACI

che rendano il CAMBIAMENTO INEVITABILE.

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Si definisce BREVE perché si può arrivare velocemente ad una SOLUZIONE con RISPARMIO di

TEMPO - DISAGIO - DENARO




venerdì 1 novembre 2013

STRATEGIA: "Ad una FORZA LINEARE anteporre una FORZA CIRCOLARE e VICEVERSA."



(Liberamente tratto dal libro di Giorgio Nardone: Cavalcare la propria Tigre - 2003 Ponte alle Grazie)
Archimede ci insegna con l'affermazione < datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo >,
che occorre anteporre un movimento circolare ad una forza lineare per rendere possibile il sollevamento o lo  spostamento di pesi altrimenti considerato impossibile. L'invenzione della ruota o la carrucola ne sono l'esempio. Al contrario se voglio bloccare qualcosa che rotola mi basta inserire un cuneo tra essa e la superficie di rotolamento: una piccola forza lineare è in grado di bloccare una potente forza circolare. Mediante poco si ottiene tanto.
Questo approccio mutuato dall'antichità (dalle arti marziali e dal taoismo) nella moderna epistemologia e la cibernetica viene chiamato < Casualità Circolare >, ovvero la concezione per cui Causa ed Effetto costituiscono un sistema circolare di reciprocità piuttosto che un mero processo sequenziale e lineare. Così si ottiene un Modello Scientifico più completo e corretto, perché prende in considerazione la Complessità dei rapporti tra i diversi componenti di un dato sistema.
Ma questo cosa vuol dire praticamente? Per esempio nell'arte della persuasione come insegna Blaise Pascal (Pensiero n.40) : < Quando si vuol dimostrare una cosa generale, occorre dare la regola particolare di un caso; ma se si vuol dimostrare un caso particolare, occorre cominciare dalla regola generale>, ovvero se voglio spiegare una cosa complicata dovrò utilizzare degli esempi particolari e semplici. Anche l'antico filosofo Gorgia insegnava che < Si deve disarmare la serietà dell'avversario con il riso, ed il riso con la serietà >.
Allo stesso modo dovrò utilizzare con una persona che usa un linguaggio semplice delle argomentazioni elaborate e contorte, alle quali lui cercherà di dare un senso semplice, trovando lui stesso le fondamenta di verità, finendo così per convincersene. Invece con un interlocutore che utilizza un linguaggio forbito e complicato dovrò penetrare la sua esposizione con fulminanti esempi concreti, facendo crollare la sua complessa argomentazione, obbligandolo ad aggrapparsi a ciò che gli proporrete come un assetato che si tuffa nell'acqua dell'oasi.
Quindi una persona che si pone in modo rigido sarà messo in crisi da chi si rivolgerà a lui in modo determinato ma dolce.
L'arte sta nel sapersi sintonizzare sul canale complementare a quello del nostro interlocutore.
Usato con perizia questo stratagemma guida alla soluzione di problemi interpersonali apparentemente insolubili.

domenica 27 ottobre 2013

STAI TRANQUILLO e CHIAMA il TUO COUNSELOR

 

Il Counseling è un'attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione.

Il Counseling offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e di crisi, rinforzando la capacità di scelta o di cambiamento del cliente.

Il Counseling Breve Strategico è un intervento che mira attraverso Tecniche Precise ad ottenere un Cambiamento Efficace in un numero Breve di incontri.

Si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi e istituzioni, può essere erogato in vari ambiti, quali privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale.


domenica 2 giugno 2013

PROBLEM SOLVING STRATEGICO e COMUNICAZIONE STRATEGICA

Paul Watzlawick e Giorgio Nardone

In letteratura si possono trovare differenti modelli di Problem Solving, quello Strategico è stato formulato in maniera originale da Giorgio Nardone e dai suoi collaboratori, in virtù della ultra ventennale esperienza nel risolvere problemi e disfunzioni individuali e relazionali, organizzative e manageriali.
Il Problem Solving Strategico si può applicare per definizione a qualunque tipologia di problema e ad ambiti decisamente diversi tra di loro poiché questo è un metodo di ricerca-intervento empirico sperimentale, tanto che è stato il fondamento metodologico per la messa a punto delle numerose forme specifiche di intervento terapeutico e di comunicazione strategica sviluppate presso il nostro Istituto e applicate con successo a decine di migliaia di casi clinici e a centinaia di problemi manageriali. In altri termini è la metodologia su cui si fondano i diversi approcci applicativi: dalla psicoterapia, al coaching, al counseling, sino agli interventi nelle aziende e organizzazioni.
Lo sviluppo del Problem Solving Strategico nasce da tradizioni antiche, quella ellenica della retorica dei sofisti e quella cinese dell'arte dello stratagemma, ovvero, le antiche arti di risolvere apparentemente irrisolvibili situazioni mediante l'uso di stratagemmi e modi di comunicare suggestivi e persuasori, oltre che una epistemologia avanzata che si rifà alla teoria della comunicazione nata in ambito antropologico con G. Bateson, agli sviluppi costruttivisti della teoria cibernetica (H.von Foester, E. von Glaserfeld), agli studi sul linguaggio persuasorio di Milton Erickson e ai principi teorico-applicativi della comunicazione approfonditi dal Mental Research Institute di Palo Alto (P. Watzlawick, Weakland, Fish, Jackson) e alla branca specialistica della logica matematica nota come «logica strategica» (Elster, 1979, 1985; Da Costa, 1989a, 1989b; Nardone, Salvini, 1997; Nardone, 1998).
Le sue strategie non sono frutto di un improvviso atto di creatività, ma sono basate sull'applicazione di un sistematico e rigoroso metodo di ricerca, attraverso una precisa logica (non ordinaria) di intervento che fanno si che rigore ed inventiva si complementino e si alimentino a vicenda, poiché come sosteneva G. Bateson Il rigore da solo è morte per asfissia la creativa da sola è pura follia”.
Tale logica si differenzia dalle logiche tradizionali (ordinarie) per la sua caratteristica di mettere a punto il modello di intervento sulla base degli obiettivi prefissati e delle specifiche caratteristiche del problema affrontato, piuttosto che sulla base di una teoria precostituita.
In altri termini, si rinuncia a seguire ciecamente una qualsiasi prospettiva rigida che fornisca, in maniera deterministica, indicazioni su come procedere o pretenda di dare una descrizione aprioristica ed esaustiva dei fenomeni che si stanno studiando e sui quali si vuole intervenire.
“L’imperativo metodologico” infatti è: sono le soluzioni che spiegano i problemi e non le spiegazioni che guidano alle soluzioni. Pertanto la tecnologia del cambiamento si evolve sulla base della sua efficacia e non sulla base di teorie da provare, si osserva quindi il passaggio da una metodologia ipotetico–deduttiva a una costitutivo–deduttiva, ovvero: invece di conoscere per cambiare, cambiare per conoscere (Watzlawick, Nardone, 1997). Una prospettiva, questa, chiaramente non ordinaria che, attraverso stratagemmi, espedienti non lineari, ci consente di costruire una realtà nella quale si può ottenere un cambiamento laddove prima non era possibile. Non devono infatti stupire risultati talvolta eclatanti tanto da essere dichiarati magici poiché come indicava A. C. Clarke “una tecnologia abbastanza avanzata è indistinguibile dalla magia”.

I 13 STRATAGEMMI


Problem Solving e Comunicazione

 
Ci sembra cruciale mettere in risalto il fatto che, per applicare con efficacia il modello di PSS, è necessario non solo il «sapere», bensì anche il «saper fare», ovvero la capacità di comunicare agli altri e a se stessi consentendo di evadere dalla trappola degli schemi mentali e comportamentali.
Difatti alle strategie e tecniche di PSS si affianca l'utilizzo deliberato e consapevole della comunicazione persuasoria, veicolo principale per produrre cambiamenti ed effetti positivi (risoluzione di problemi o raggiungimento di obiettivi nella realtà organizzativa oggetto dell'intervento).
Logica di problem solving e comunicazione rappresentano le due anime dell’approccio strategico; non può esistere problem solving strategico senza una comunicazione strategica, e viceversa.
Poiché il primo rappresenta il metodo che guida l’intervento, la seconda è il veicolo che ne permette l’applicazione. Il linguaggio, i gesti e le azioni, sono il bisturi del problem solver che, se usato con precisione chirurgica, può condurre a esiti straordinari, viceversa, se usato senza maestria non sarà possibile operare alcun cambiamento chirurgico.

Problem Solving e scuola

      Come ben raffigura la vignetta di Chaunu i tempi sono cambiati: quarant’anni fa i genitori erano spontaneamente complici degli insegnanti; oggi non più. In quei tempi, che sembrano ormai lontanissimi, era facile attuare un’educazione “in solido”: genitori e insegnanti erano schierati dalla stessa parte con lo scopo di rendere la vita dei ragazzi non tanto facile ma certamente più produttiva. Da qualche decennio a questa parte tra genitori e insegnanti la sintonia è diventata sempre meno scontata, e spesso i genitori si presentano nei confronti degli insegnanti con uno sguardo vigile, per controllare se fanno bene il loro dovere: se qualcosa non funziona in classe certamente una colpa c’è... e non è dei bambini. 
Questo cambiamento relazionale viene spesso vissuto dagli insegnanti con ansia e frustrazione e la domanda è: <<Che cosa facciamo allora?>>. Questa domanda nasce dallo stupore che non è più sufficiente avere un ruolo perché questo venga riconosciuto e rispettato dagli altri. Se sei insegnante, sindaco, sacerdote, politico, l’aver raggiunto questo ruolo non porta automaticamente con sé il fatto che gli altri ti daranno rispetto, che ti percepiranno come un punto di riferimento, come un’autorità; d’altronde non basta più neanche essere un genitore perché tuo figlio ti porti rispetto.
<<Che cosa facciamo allora?>>. Questa domanda sembra davvero senza risposta e nasce dal ritenere che siamo figli di un’epoca nuova e bizzarra che mai si è presentata prima nella storia umana. Ma una risposta c’è, e si trova molto indietro nei secoli, in quell’epoca in cui sono stati indicati i princìpi grazie ai quali è possibile acquistare autorevolezza quando questa non viene concessa così facilmente. Si tratta di far memoria dell’antica arte cinese dello stratagemma. 
Diceva Sun Tzu: <<Il mare calmo governa i fiumi tumultuosi perché li governa dal basso>>. 
Dal basso, non dall’alto. Quando un genitore non riconosce il tuo ruolo di insegnante, il rispetto lo si acquisisce dal basso, non dall’alto; con la morbidezza, non con la rigidità; con l’astuzia, non con la forza della pretesa. Se si è innescato uno scontro frontale tra chi pretende rispetto e chi non lo vuole concedere, aumentare ulteriormente la pretesa aumenterà ulteriormente il conflitto; chiedere con ancora più autorità il rispetto del proprio ruolo, aumenterà ulteriormente la negazione di quanto richiesto. Infatti solo chi è veramente forte può ammorbidirsi; chi si irrigidisce mostra solo la propria fragilità. La morbidezza è il veicolo principale dell’astuzia.  
<<Lei è una pessima insegnante! I suoi programmi didattici valgono davvero poco!>>.
Ecco una risposta “dall’alto”: <<Insegno da 20 anni! Vuole venire lei a dire a me com’è che devo insegnare?!>>. Cosa immaginate che possa succedere dopo questo tipo di risposta? 
“Dall’alto” non funziona.
Vediamo adesso una risposta “dal basso”. Un giorno una maestra di una bella cittadina vicino Torino mi disse: <<Una mamma ha portato via dalla scuola suo figlio a metà dell’anno scorso; da allora continua a parlare male di noi maestre, della scuola, dei nostri programmai. Il paese è piccolo e lei ha la bocca larga!>>. Era davvero molto innervosita. Le chiesi se, dopo che questa mamma aveva iniziato a parlare male della scuola, ci fosse stato un crollo di iscritti. La maestra mi disse di no; anzi l’anno successivo c’erano stati perfino più iscritti. Se l’avesse incrociata nei giorni successivi (e la cosa era molto facile che accadesse) le suggerii di fermarla e di dirle con grande calma: <<Sai, so che stai parlando molto male della scuola, di noi maestre e dei metodi che usiamo; il paese è piccolo e le persone me lo vengono a riferire... Ti volevo ringraziare per quello che stai facendo, perché da quando hai iniziato a parlare male della scuola sono aumentati gli iscritti. Per favore, continua a farlo>>. “Dal basso” funziona.
Bernardo Paoli - Psicologo Torino

sabato 18 maggio 2013

Solcare il mare all'insaputa del cielo

 
Dall'oriente è giunto fino a noi (grazie al prof. Giorgio Nardone)  un antico libro cinese di raccolte di stratagemmi: "36 Stratagemmi", salvato e custodito da monaci shaolin durante la rivoluzione culturale di Mao.
Questo libro rappresenta ancor oggi l'essenza del pensiero strategico.
 
Solcare il mare all'insaluta del cielo è il primo stratagemma e descrive la capacità strategica di fare qualcosa che sortisce evidenti effetti senza che la nostra azione venga notata, permettendoci di evitare le resistenze al cambiamento che vogliamo innescare.
 
Nel campo della comunicazione ciò avviene quando si guida l'interlocutore a prestare attenzione ad aspetti irrilevanti delle nostre argomentazioni-presentate però come fondamentali-o a indicazioni che lo costringano a concentrarsi su certi dettagli, mentre lo convinciamo a ciò che è importante proponendolo come marginale.

< Le suggestioni indirette funzionano meglio di quelle dirette> (1930, Milton Erickson).
 
Questo stratagemma risulta indicato per tutte quelle situazioni nelle quali affrontare direttamente l'ostacolo che si interpone tra noi e il nostro scopo risulta inefficace, pericoloso oppure eccessivamente dispendioso.
Solo dopo che l'effetto è stato sortito, lo stratagemma si rende esplicito.
Non vedere più a forza di guardare, non stupirsi più di quanto si ha sotto gli occhi, oppure essere convinti di vedere troppo bene: questo è il limite e il difetto in cui l'essere umano cadee di cui approfitta lo stratagemma del Solcare il mare all'insaputa del cielo.
Applicare questo stratagemma a se stessi è decisamente più funanbolico, poichè non è possibile distrarsi distrarsi volontariamente. Anzi più cerco di non pensare ad una cosa e più la penso: pensare di non pensare è pensare. Ad esempio, se un fumatore si impone di ridurre volontariamente il consumo giornaliero di sigarette il più delle volte fallisce miseramente. Ma se invece cerca di comprendere quali delle sigarette fumate, sono quelle davvero fumate con piacere durante la giornata e si impone di godersele pienamente rinunciando alle altre non altrettanto gustose, riuscirà senza fatica a ridurre a 5-6 sigarette al giorno il consumo.
L'attenzione qui è orientata più al piacere che alla rinuncia, permette di autoingannarsi producendo ciò che sarebbe stato impossibile attraverso uno sforzo di volontà. (tratto liberamente dal libro di Giorgio Nardone "Cavalcare la propria tigre" -Ed. Ponte alle Grazie

giovedì 16 maggio 2013

COME SEDURRE IL PROPRIO PARTNER


Non c’è travestimento che possa nascondere a lungo l’amore dov’è, né fingerlo dove non c'è.



Duca di La Rochefoucauld
[Tratto dal contributo di Giorgio Nardone a I dieci comandamenti della coppia curato da Jeffrey Zeig e Tami Kulbatski]
1. Proprio come in tutte le specie monogame, che durante la stagione degli accoppiamenti ripetono rituali di corteggiamento, anche nelle coppie umane che godono di stabilità è possibile constatare, per tutta la durata della relazione, rituali ricorrenti di seduzione. La seduzione reciproca è un processo circolare di feedback che rappresenta la linfa vitale della coppia.
2. Se desiderate essere sedotti, siate i primi a sedurre. Se amate essere corteggiati, siate i primi a corteggiare il vostro partner. Mai aspettare che sia l’amore ad arrivare a voi; siate i primi ad accendere la fiamma.
3. La seduzione mai dev’essere un agire diretto, ma una forma di comunicazione indiretta. Mai è una richiesta esplicita di amore o di sesso, ma un insieme di suggestioni in grado di evocare sensazioni nel partner. La seduzione è un linguaggio performativo.
4. Per sedurre è necessario comunicare in modo ambivalente: il linguaggio della seduzione è radicalmente diverso da quello informativo, in cui coerenza e congruenza sono essenziali. Gli ingredienti principali della seduzione sono i messaggi ambigui, le allusioni e l’evocare sensazioni.
5. Proprio come avviene quando si danza con il partner, nel sedurre la più stretta vicinanza si alterna a movimenti di allontanamento. Mai mantenere la stessa modalità di contatto nel tempo poiché anche lo stimolo più piacevole, se reso persistente, perde di impatto.
6. Nel sedurre il partner mai dimenticare che il linguaggio non verbale e para-verbale è più efficace di quello verbale; giocate con il partner scambiandovi sguardi, sorrisi, ammiccamenti: costruite e mantenete una complicità reciproca.
7. Ricordate che una persona seduttiva mai usa il sarcasmo ma l’ironia e lo fa in primo luogo nei confronti di se stessa, sottolineando le proprie debolezze.
8. Ricordate sempre di curare il vostro aspetto e il modo in cui vi presentate: è il modo migliore per indurre il partner a fare lo stesso.
9. La seduzione è veramente efficace se sa far credere al partner che per voi è la persona più desiderabile al mondo.
10. Non lasciate mai calare il sole sulla rabbia o ostilità verso il vostro partner. Fate in modo che ogni giorno si chiuda nel segno di un gesto intimo e affettuoso nei confronti della persona amata.
(dott. Bernardo Paoli)

PER STUDIARE MEGLIO, OBBLIGATI A NON STUDIARE



dott. Bernardo Paoli
Se devo chiedere a qualcuno di farmi un favore che richiede del tempo, lo chiedo a chi è già enormemente impegnato e non certo a chi ha molto tempo a disposizione.
Anonimo
[Tratto da Come non farsi bocciare a scuola di Matteo Rampin e Farida Monduzzi]
      
 
Se vi predisponete ad avere l'intero pomeriggio per studiare, è molto probabile che il tempo non vi basterà. Ugualmente, se decidete di dedicare un mese a preparare una ricerca, quasi sicuramente vi troverete a doverla fare l'ultimo giorno (una sindrome nota col nome di “compiti per le vacanze”).
Infatti è proprio l'abbondanza di tempo ciò che, confermandovi un'illusoria possibilità di gestirvi, vi priva della tensione necessaria ad affrontare la materia.
Sapete perfettamente che cosa accadrà: dopo aver detto “ho tutto il pomeriggio (o tutta la settimana, tutto il mese, tutto l'anno) per togliermi dalle scatole questa noia”, con logica ferrea vi si affaccerà alla mente l'ovvia riflessione “perché quindi dovrei mettermi in agitazione?”. Con flemma anglosassone e precisione elvetica disporrete sul vostro tavolino quel minimo di supporto logistico che è indispensabile quando si tratta di sostare davanti ai libri per un pomeriggio intero: carta e penne in abbondanza, evidenziatori in varie gamme di colori e fosforescenze, pc acceso, radio sintonizzata sul canale preferito, cellulare a pochi centimetri dalla vostra mano, foto dell'amato/a da rimirare sospirando, bibite energetiche, integratori di sali minerali, prodotti multivitaminici, merendine e snack variamente assortiti, pettine o spazzola per capelli, specchietto per verificare l'acconciatura, supplemento di carta per ghirigori, gatto sulle ginocchia, gabbia con criceti o vasca di pesci rossi a fianco del libro per creare un clima di intimità e rispetto per la natura, cuscino da piazzare sotto i glutei o dietro la schiena in tutte le possibili combinazioni ergonomiche, manubri per body building cui dedicarsi in parallelo allo studio, e pochi altri oggetti essenziali.
L'esito di questa preparazione è scontato: nell'arco di una quindicina di secondi il pc occhieggerà richiamando la vostra attenzione, il cellulare esigerà il doveroso tributo, snack e merendine scompariranno dal tavolo senza che ve ne accorgiate per poi ricomparire sulla vostra fronte, i criceti si accoppieranno, il gatto proverà ad eludere la vostra sorveglianza della vaschetta dei pesci, la radio diraderà una notizia da comunicare istantaneamente a tutti i vostri contatti, guarderete distrattamente l'orologio e sobbalzerete atleticamente sul cuscino scoprendo che è già ora di cena.
Per non subire ogni volta questo smacco, e per non dover ammettere che sì, la teoria einsteiniana della relatività del tempo è esatta, fate così: obbligatevi a non studiare.
Esatto, avete capito bene: fissate un determinato periodo di tempo (di cui stabilirete la durata in funzione della materia in questione), e costringetevi a non studiare all'infuori di quel periodo. Potrete studiare solo in quello spazio di tempo, dovrete impedirvi di studiare quando questo sarà finito.
La durata ideale di un periodo è quarantacinque minuti. Questi periodi di studio possono essere, naturalmente, più d'uno; per decidere quanti, fate così: considerate la materia, valutate quanti periodi vi serviranno, e al numero di periodi che avete stabilite sottraetene uno.
Non è necessario che vi sforziate di studiare, durante questi periodi: potete anche stare a sonnecchiare davanti al libro, se preferite. L'importante è che, quando il tempo è scaduto, sappiate che non potete più studiare.
Funziona sempre.

Bernardo Paoli, psicologo Torino, psicoterapia strategica, coach strategico
www.bernardopaoli.it - info@bernardopaoli.it

Il mito del "Nodo Gordiano".

Secondo una leggenda dell'antica grecia il "Nodo Gordiano" era un nodo con il quale il re della Frigia aveva legato il Carro di Zeus, un nodo talmente stretto e particolare da essere inestricabile.
 
Ci riuscì Alessandro Magno nel 334 a.C.:
dopo alcuni tentativi falliti, con la spada troncò il nodo di netto e divenne Imperatore.
 
Da allora il termine "Nodo Gordiano" è sinonimo di un problema che può essere risolto solo AGENDO con DECISIONE ed energia.

Conoscere il problema attraverso la soluzione !

Il Modello empirico-sperimentale alla base del Problem Solving Breve Strategico, ci guida alla conoscenza di un problema attraverso la soluzione.
Com'è possibile questo? Siamo stati educati alla logica che dobbiamo conoscere prima le cause di un problema per poter, solo dopo attenta analisi, cercare una soluzione.
Senza entrare in dettagli epistemologici che riguardano questo antico approccio alla conoscenza vediamo in seguito il suo funzionamento.
Quando si vuole aiutare una persona con un disagio/problema alla domanda <perchè?> (della causa), si sostituisce con la domanda <come?>.
Quindi non <Perchè Tizio ha un disagio?>, ma <Come funziona il suo disagio, come si è costruito e come continua a mantenerlo e ad alimentarlo, suo malgrado?>.
La domanda <perchè> risponde ad una spiegazione causale: data una certa causa,collocabile nel passato, non importa quanto remoto, dovrebbe essere sufficiente agire su quella, per modificare gli effetti nel presente.
La domanda <come> si sofferma pittosto a considerare la modalità di formazione e persistenza del problema nel <qui e ora>: che cosa la persona e/o il sistema intorno a lui si ostina a mettere in atto come soluzione fallimentare, che in quanto disfunzionale, continua a ad alimentare il problema stesso.
Questa modifica della strategia ci rende possibile la comprensione di <come> funziona quel problema e di come persiste nel tempo.
Da un punto di vista teorico applicativo è bene ribadire che il modello strategico si occupa del modo in cui l'essere umano percepisce e gestisce la propria realtà nella costante interazione con se stesso, con gli altri, con il mondo.
In questo senso anche i <problemi> dell'essere umano sono prodotti dall'interazione tra l'individuo e la realtà. Ciò che fa si che una difficoltà diventi un problema, e un problema una patologia, è quello che la persona fa e/o pensa (spesso il sistema intorno a essa) nel tentativo di risolvelverla.
Le reazioni e i comportamenti, le tentate soluzioni, che la persona utilizza per superare la propria difficoltà, nel momento in cui NON funzionano vengono, generalmente, utilizzati ancora di più (secondo la logica devastante del <più di prima>)(Watzlawick) complicando ulteriormente la situazione invece di risolverla. Si costruisce in questo modo<una modalità ridondante di reagire nei confronti di determinate percezioni>.
Tali risposte concorrono all'irrigidirsi sulla stessa logica di soluzione, rendendo il sistema disfunzionale, così che il problema esiste proprio in virtù di ciò che è stato fatto per tentare di risolverlo.
L'individuazione della Tentata Soluzione Disfunzionale diventa, quindi, il primo passo per individuare le <trappole> mentali con cui la persona ha costruito la propria realtà problematica.
Nello stesso tempo ci fornisce la chiave per il cambiamento, che consiste nel sostituire le modalità disfunzionali con azioni concrete funzionali, che cambierà quindi anche la modalità percettivo-reattiva dell'individuo.
(Liberamente tratto da "I volti della depressione" di Muriana,Pettenò,Verbitz. Ed.Ponte alle Grazie).

Sequenza riassuntiva delle FASI di un processo di Problem Solving Strategico

Prof. Giorgio Nardone
PROBLEMA/OBIETTIVO
  • Se si lavora sul problema/i dichiarato si prende avvio dalla sua definizione.
  • Se si lavora su un miglioramento/obiettivo da realizzare si partirà dall’obiettivo da raggiungere per poi analizzare i problemi da risolvere e le resistenze al cambiamento da superare.
Durante tutte le fasi dell’intervento viene utilizzata la tecnica del DIALOGO STRATEGICO, che può essere applicata a tutte le tipologie di problema, richiede però una costante forma di adattamento alla irripetibilità dei contesti, delle situazioni, delle persone.
ACCORDARE L’OBIETTIVO
Una volta definito il problema, si cerchi di descrivere quali sarebbero i cambiamenti concreti che, una volta realizzati, farebbero affermare che questo è risolto. Ovvero definire l’obiettivo da raggiungere. Questo è il secondo passo di un processo di Problem Solving strategico
TECNICA DEL COME PEGGIORARE
“se vuoi drizzare una cosa impara prima tutti i modi per storcerla di più”.

Il lettore nei confronti del problema da lui prescelto, a questo punto, si domandi:
«Se io volessi far peggiorare ulteriormente la situazione invece che migliorarla come potrei fare?» e cerchi di enumerare tutte le possibili modalità. «Quali sono tutti i metodi o le strategie che se adottate mi porterebbero ad un sicuro fallimento nel mio progetto?».
TECNICA DELLO SCENARIO OLTRE IL PROBLEMA
Al fine di essere ancora più concretamente focalizzati sull’obiettivo da raggiungere abbiamo formalizzato un’altra innovativa manovra: l’immaginare lo scenario ideale al di là del problema. Domandarsi quale sarebbe lo scenario, riguardo alla situazione da cambiare, una volta che il problema fosse completamente risolto o, nel caso di miglioramenti da ottenere, che l’obiettivo fosse completamente raggiunto. In altri termini si deve di proiettare la nostra mente ad immaginare quali sarebbero tutte le caratteristiche della situazione ideale dopo aver realizzato il cambiamento strategico.
TECNICA DELLO SCALATORE
Quando si ha un problema complesso da risolvere, al fine di costruire una strategia efficiente oltre che efficace, risulta utile partire dall’obiettivo da raggiungere ed immaginare lo stadio subito precedente, poi lo stadio precedente ancora, sino a giungere al punto di partenza. Il tutto in modo tale da suddividere il percorso in una serie successiva di stadi; ciò significa frazionare l’obiettivo finale in una serie successiva di micro-obiettivi che però prendono avvio dal punto di arrivo per tornare indietro sino al primo passo da eseguire. Questa strategia mentale contro intuitiva, appare chiaro, permette di costruire agevolmente la sequenza di azioni da realizzare per risolvere un problema partendo dal più piccolo ma concreto cambiamento possibile.
AGGIUSTARE IL TIRO PROGRESSIVAMENTE
Talvolta i problemi sono complessi al punto tale da richiedere non una sola soluzione ma una serie di queste in sequenza. Come nel gioco delle scatole cinesi o delle matrioska russe, aperta la prima se ne trova un’altra al suo interno da schiudere, dentro la quale ce n’è un’altra ancora e così di seguito sino all’ultima.
Di fronte a situazioni di questo tipo è fondamentale evitare di voler affrontare insieme tutti i problemi ma iniziare ad affrontare il più accessibile. Una volta risolto il primo passare al secondo e così via, mantenendo però fin dall’inizio la visione della globalità e delle interazioni possibili fra le concatenazioni tra i problemi. Così facendo si evita di perdersi nella ingestibile complessità delle interrelazioni mentre si opera concretamente, ma, al tempo stesso, si mantiene la visione dell’insieme.
Per saperne di più
CAVALCARE LA PROPRIA TIGRE, G. Nardone, 2003; Ponte alle Grazie Ed. Milano
- Spanish Edition, 2004, El arte de la estrategema, RBA Libros, Barcellona
- French Edition, 2008, Chevaucher son tigre - Editions du Seuil. Paris

Libro di Giorgio Nardone "AIUTARE I GENITORI AD AIUTARE I FIGLI"